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          BOLLETTINO '900 - Discussioni / A, novembre 1996             Successivo

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Armando Gnisci
Crisi dell'italianistica.
Italianistica e comparatistica.

L'Universita' e' di nuovo al centro di un dibattito politico con la riforma
dei concorsi e la rissa sugli smembramenti dei maxi-atenei. Ma anche
culturale. Prova ne sia, tra le altre, la discussione sul destino
dell'Italianistica che si e' sviluppata negli ultimi due anni. A provocarla
furono un serio articolo di M. Santagata nell'aprile del '95 su "La Rivista
dei Libri", seguito da molti interventi - in specie su "l'Unita'" -, e il
"fattaccio" del Dipartimento di Italianistica della Sapienza di Roma. Una
giostra gladiatorio-circense promossa dalla stampa quotidiana per
appassionare [sic] i curiosi ad un mitico duello Asor Rosa-Ferroni, di cui
non importava niente a nessuno, fuorche' a chi lavorava - e lavora - nei loro
paraggi; diciamo, un centinaio di persone.
Ma veniamo alla crisi dell'Italianistica. Santagata in un recente ritorno
sull'argomento, ancora su "La Rivista dei Libri", si e' lamentato
dell'assenza dal dibattito dei colleghi che insegnano Letteratura comparata,
indiziati, invece, di avere un ruolo importante nella crisi
dell'Italianistica stessa. E' vero. Anzi, sono vere tutte e due le cose. Il
fatto e' che ho provato piu' volte - insegnando Letteratura comparata a "La
Sapienza" - a proporre un mio intervento al Direttore della "Rivista dei
Books", ma senza ottenere alcun cenno di risposta. Ed e' vero che
l'Italianistica e' in crisi, se e' intesa come insegnamento e ricerca sulla
lingua e sulla letteratura italiana. Anche perche' a dibatterne sono i
professori di letteratura italiana. Proprio cosė. Se la cultura letteraria
italiana fosse meno provinciale e mediocre - sospetto che lo sia al grado
piu' alto nell'Europa occidentale - si renderebbe conto che i termini con i
quali discute degli studi di Italianistica sono primonovecenteschi a
dominante eurocentrica (dal mio punto di vista, s'intende).
Provero', in breve, a spostare il punto della questione, secondo il modo
comparatistico di trattarla. I colleghi statunitensi hanno recentemente
fatto il punto sulla situazione della nostra disciplina; se ne possono
vedere gli atti nel volume *Comparative Literature in the Age of
Multiculturalism* a cura di M. Bernheimer. Di cosa discutono i professori
yankees? Del destino degli studi letterari in generale, minacciati
dall'invadenza dei cultural studies. Cosa sono? Una specie di ecumenico - ma
spesso confuso - orizzonte storico-antropologico di indagini che toccano
tutti gli aspetti "culturali" di una civilta': dalla letteratura al cinema,
dalle arti alla moda, dagli stili urbanistici al design, dalle mutazioni del
paesaggio alla cucina. Quali civilta'? Quelle nazionali (statunitense,
canadese o cinese, giapponese) dentro quelle areali (nordamericana,
estremorientale, europea, ecc.) e queste ultime vengono poi studiate nei
loro rapporti: abbiamo, allora, gli studi interculturali. I comparatisti
letterari, insomma, fanno i conti con gli studi culturali e ormai,
dall'Universita' di Warwick in Gran Bretagna a quella Beida di Pechino,
intitolano i loro Dipartimenti: Comparative Literature & Culture. J. Culler,
conosciuto e tradotto anche da noi, propone: siano pure i Dipartimenti su
base nazionale ad avere un'impostazione culturale, quelli di Letteratura
comparata, cosė, torneranno ad avere la loro autonomia metodologica e
tematica. La cosa, indirettamente, ci tocca. Vediamo come. In buona
sostanza: siano i Dipartimenti di Inglese, Francese, Italiano, ecc. a
svilupparsi come "Letteratura e cultura inglese", francese, ecc.. Centri
accademici, cioe', dove viene studiata un'intera civilta' nazionale: dai
drammi elisabettiani alla "questione irlandese", da Cromwell agli stili
architettonici dell'impero coloniale, dalla filologia germanica all'inglese
degli scrittori pakistani emigrati a Londra. In termini "italianistici":
dalle forme costituzionali dei Comuni alle arti "minori" del Rinascimento,
da Tasso e Monteverdi a Rossellini e Zavattini, dalla religione etrusca alla
moda di Armani e Versace. E' questa l'Italianistica che interessa al mondo. E
forse anche agli italiani. O no? Che ci siano centri universitari dove si
studia la nostra intera civilta' nei suoi "caratteri originari" (si scorra
solo l'indice del primo volume, che porta questo titolo, della *Storia
d'Italia* Einaudi, coordinata da R. Romano e C. Vivanti, del 1972: una delle
splendide eccezioni ed eccellenze della cultura umanistica italiana
contemporanea), nelle sue vicende storiche e nei suoi intrecci europei e
mediterranei e poi mondiali (c'e' gente che scrive racconti in italiano
provenendo dal Senegal o dalla Siria e c'e' gente che scrive romanzi in
anglo-italiano in Australia).
Non e' questa una prospettiva alla quale dedicare qualche attenzione,
colleghi italianisti? E non sposta questa prospettiva, forse, i termini
stessi della definizione dell'Italianistica?




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© Bollettino '900 - versione e-mail
Electronic Newsletter of '900 Italian Literature
DISCUSSIONI / A, novembre 1996. Anno II, 6.

Redazione: Vincenzo Bagnoli, Daniela Baroncini, Stefano Colangelo,
Eleonora Conti, Stefania Filippi, Anna Frabetti, Federico Pellizzi.

Dipartimento di Italianistica
dell'Universita' di Bologna,
Via Zamboni 32, 40126 Bologna, Italy,
Fax +39 051 2098555; tel. +39 051 2098595/334294.
Reg. Trib. di Bologna n. 6436 del 19 aprile 1995.
ISSN 1124-1578

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