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          BOLLETTINO '900 - Discussioni / A , settembre 1997             Successivo

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CORRADO DONATI
RIFLESSIONI SULL'UNIVERSITA'

Anche alcuni sporadici interventi sulla stampa, riconducibili invero ad
una ristretta cerchia di nomi, tengono acceso il lumicino di un dibattito
sui destini dell'universita' italiana. Ma "dentro" l'universita'
l'atmosfera di sostanziale disinteresse dei docenti e, duole dirlo, di
inerzia degli studenti, fa pensare che quel lumicino sia piu' un cero
mortuario che una luce di speranza.
L'ultimo articolo che mi e' capitato di leggere (tra tanti contributi
apprezzabili) era di un qualunquismo indecoroso. Ancora il discorso che
non si puo' generalizzare e' che se c'e' qualcuno che spara agli studenti
dalle finestre di una Facolta' non e' lecito dire che tutto sia marcio
nelle cittadelle del sapere. Bisogna avere il coraggio di dire, invece,
che e' la situazione generale quella che fa testo, non i singoli, e la
situazione generale (fatte le dovute eccezioni per accontentare i
benpensanti) si configura come una serie di piccoli omicidi morali che si
compiono quotidianamente ai danni delle speranze e delle attese delle
giovani generazioni.
Ora, ci sarebbe molto da discutere sulle proposte di riforma dei concorsi,
sulle modalita' di applicazione dell'autonomia e su quant'altro, anche di
interessante, bolle nella pentola del Ministero. Ma c'e' qualcosa che
viene prima di tutto il resto: nessuna legge potra' ridare a quella che
una volta si definiva con altra connotazione la "classe dei colti" il
senso del propria funzione e della propria responsabilita' morale entro
una societa' che si definisce "civile". In mancanza di questo, anche con
la migliore delle riforme possibili, l'arroganza del potere, il
carrierismo e la noncuranza del destino di migliaia di studenti
continueranno ad avere la meglio.
Se e' lecito esprimere un'opinione, come tante altre, mi sento di farlo
solo per quanto concerne la mia esperienza di docente in una Facolta' di
Lettere. Ci sono due punti, essenzialmente, su cui occorre riflettere. Le
Facolta' di Lettere, per tradizione, hanno sempre offerto agli studenti
una formazione genericamente finalizzata all'insegnamento nelle scuole
medie inferiori e superiori. Questo oggi non e' piu' pensabile. Solo una
minima percentuale di chi consegue la laurea in Lettere sara' assorbito
nei ruoli dell'insegnamento, e solo pochi eletti potranno accedere alla
carriera universitaria. Gli altri sono destinati alla disoccupazione, a
meno che non sappiano per loro conto riciclarsi in attivita' diverse.
Io credo che occorrerebbe prima di tutto salvaguardare il livello di
preparazione generale, secondo una tradizione della nostra cultura
umanistica che e' un patrimonio ineludibile. Ma a questo bisognerebbe
abbinare una proposta di formazione piu' specifica e diversificata che
tenga conto delle possibilita' che offre il mercato del lavoro, anche in
relazione al territorio; sapendo che vi sono nuovi mestieri che non
sviliscono affatto l' "aura" dell'umanista ma ne ricostruiscono l'utilita'
sociale in un mondo che e' profondamente mutato (e dove semmai sono la
disoccupazione e la sottooccupazione a provocare il degrado morale delle
persone). Alludo, ad esempio, alla formazione di giovani laureati che
sappiano padroneggiare i mezzi informatici nel campo della biblioteconomia
e dell'archivistica, della conservazione dei beni culturali, della
museografia, della creazione di prodotti multimediali, editoriali ecc.
Alludo, ancora, ad operatori culturali che siano in grado di organizzare
le manifestazioni promosse dagli enti locali (anche, semplicemente, una
stagione teatrale o un cineforum, una serie di concerti musicali, un ciclo
di conferenze) in modo da ottenere il massimo di partecipazione,
coinvolgendo le scuole ed un pubblico piu' preparato e sensibile, oltre
quello dei soliti affezionati.
Non credo che in Italia non ci sia spazio per questo tipo di occupazioni;
e' che se non c'e' un'offerta di persone qualificate, non si stimola
nemmeno la richiesta (e potrei portare degli esempi istruttivi, se avessi
lo spazio necessario). Ma c'e' da chiedersi: sara' vero che l'autonomia
fara' indirizzare le scelte delle singole universita' in questo senso e
con una politica davvero responsabile? Se l'autonomia aprira', come credo,
una caccia alle iscrizioni, come si potra' conciliare con il rigore degli
studi anziché con scelte puramente di facciata, che mostrino cioe' il
volto modernizzato di una Facolta' senza averne i contenuti reali?
Le scelte verranno compiute, comunque, dal corpo docente; e qui veniamo al
secondo punto. Cosa comporterebbe una modifica sostanziale degli assetti
attuali dei corsi di laurea? Soprattutto il fatto che i docenti dovrebbero
ripensare il loro ruolo in rapporto ad una offerta didattica rinnovata e
diversificata e in relazione al tempo da dedicare ai loro studenti. Non si
tratta di metter su qualche corso propedeutico o di orientamento per
andare incontro demagogicamente alle esigenze di iscritti che spesso non
sanno nemmeno cosa volere o cosa aspettarsi da una Facolta' di Lettere. Si
tratta di prenderli per mano e guidarli a delle scelte, cercando di
accendere il fuoco di qualche entusiasmo e di qualche speranza, di farli
crescere nella consapevolezza di se stessi e delle proprie possibilita';
cosa che nessun altro sa e puo' dar loro nella societa' attuale.
E si potra' dire che i ragazzi di oggi sono piu' inerti, piu' impreparati,
piu' sprovveduti, ma non per questo devono rappresentare, tra i compiti di
un docente, un semplice e sgradito incidente di percorso. Invece succede
che i professori universitari, schiacciati tra il martello delle loro
ambizioni di carriera e di prestigio scientifico e l'incudine di una
burocrazia pervasiva (che li costringe a faticose riunioni anche per
decidere come mettere a bilancio le spese per la carte delle fotocopie),
maltrattati economicamente, sentono il loro impegno con gli studenti come
un di piu' oneroso di cui sbrigarsi alla svelta.
E' cosi' che per un fenomeno di compensazione (e di chiusura difensiva) la
scrittura di dottissimi saggi di alto equilibrismo filologico, filosofico
ecc. da leggere a un convegno o da pubblicare agli Atti, appaga il loro
narcisismo piu' dell'idea di aver aiutato uno sperduto studente a trovare
una strada che lo metta "nel mezzo di una verita'", sia pure precaria.
Questo e' un atteggiamento colpevole e diffuso che troppo spesso degenera
nel distacco, nell'arroganza, nell'indisponibilita' e, infine, nel fatto
di considerare come una massa indifferenziata un'auditorio di persone che
e' fatto invece di singole individualita' che vanno conosciute, coinvolte,
sollecitate qualunque siano le loro attitudini e il loro livello di
preparazione.
La letteratura, una volta, aveva a che fare con la vita, con le domande,
gli enigmi, le angosce dell'uomo. Far lezione in un'aula universitaria
significa, secondo me, riscoprire ogni volta questa funzione della parola
letteraria e attraverso essa mettersi in gioco come uomini prima che come
studiosi.
Noi oggi dovremmo recuperare il senso di questa funzione del discorso
"sapiente" che pronunciamo da una cattedra, e aggiungervi anche lo scopo
di una formazione che diamo perché ciascuno di quelli che ci ascoltano
possa sperare di realizzarsi come uomo attraverso un lavoro di sua
competenza. Se tradiamo questo compito noi umanisti che non abbiamo alibi,
figuriamoci cosa accade nelle altre Facolta' in cui i fantasmi della
tecnologia, della scienza e del mercato coprono piu' facilmente l'assenza,
ormai, del fine "umano" degli studi.
Questa e' la vera riforma da attuare, se ancora abbiamo la dignita' e le
riserve di energia morale per crederci.
CORRADO DONATI
RIFLESSIONI SULL'UNIVERSITA'

Anche alcuni sporadici interventi sulla stampa, riconducibili invero ad
una ristretta cerchia di nomi, tengono acceso il lumicino di un dibattito
sui destini dell'universita' italiana. Ma "dentro" l'universita'
l'atmosfera di sostanziale disinteresse dei docenti e, duole dirlo, di
inerzia degli studenti, fa pensare che quel lumicino sia piu' un cero
mortuario che una luce di speranza.
L'ultimo articolo che mi e' capitato di leggere (tra tanti contributi
apprezzabili) era di un qualunquismo indecoroso. Ancora il discorso che
non si puo' generalizzare e' che se c'e' qualcuno che spara agli studenti
dalle finestre di una Facolta' non e' lecito dire che tutto sia marcio
nelle cittadelle del sapere. Bisogna avere il coraggio di dire, invece,
che e' la situazione generale quella che fa testo, non i singoli, e la
situazione generale (fatte le dovute eccezioni per accontentare i
benpensanti) si configura come una serie di piccoli omicidi morali che si
compiono quotidianamente ai danni delle speranze e delle attese delle
giovani generazioni.
Ora, ci sarebbe molto da discutere sulle proposte di riforma dei concorsi,
sulle modalita' di applicazione dell'autonomia e su quant'altro, anche di
interessante, bolle nella pentola del Ministero. Ma c'e' qualcosa che
viene prima di tutto il resto: nessuna legge potra' ridare a quella che
una volta si definiva con altra connotazione la "classe dei colti" il
senso del propria funzione e della propria responsabilita' morale entro
una societa' che si definisce "civile". In mancanza di questo, anche con
la migliore delle riforme possibili, l'arroganza del potere, il
carrierismo e la noncuranza del destino di migliaia di studenti
continueranno ad avere la meglio.
Se e' lecito esprimere un'opinione, come tante altre, mi sento di farlo
solo per quanto concerne la mia esperienza di docente in una Facolta' di
Lettere. Ci sono due punti, essenzialmente, su cui occorre riflettere. Le
Facolta' di Lettere, per tradizione, hanno sempre offerto agli studenti
una formazione genericamente finalizzata all'insegnamento nelle scuole
medie inferiori e superiori. Questo oggi non e' piu' pensabile. Solo una
minima percentuale di chi consegue la laurea in Lettere sara' assorbito
nei ruoli dell'insegnamento, e solo pochi eletti potranno accedere alla
carriera universitaria. Gli altri sono destinati alla disoccupazione, a
meno che non sappiano per loro conto riciclarsi in attivita' diverse.
Io credo che occorrerebbe prima di tutto salvaguardare il livello di
preparazione generale, secondo una tradizione della nostra cultura
umanistica che e' un patrimonio ineludibile. Ma a questo bisognerebbe
abbinare una proposta di formazione piu' specifica e diversificata che
tenga conto delle possibilita' che offre il mercato del lavoro, anche in
relazione al territorio; sapendo che vi sono nuovi mestieri che non
sviliscono affatto l' "aura" dell'umanista ma ne ricostruiscono l'utilita'
sociale in un mondo che e' profondamente mutato (e dove semmai sono la
disoccupazione e la sottooccupazione a provocare il degrado morale delle
persone). Alludo, ad esempio, alla formazione di giovani laureati che
sappiano padroneggiare i mezzi informatici nel campo della biblioteconomia
e dell'archivistica, della conservazione dei beni culturali, della
museografia, della creazione di prodotti multimediali, editoriali ecc.
Alludo, ancora, ad operatori culturali che siano in grado di organizzare
le manifestazioni promosse dagli enti locali (anche, semplicemente, una
stagione teatrale o un cineforum, una serie di concerti musicali, un ciclo
di conferenze) in modo da ottenere il massimo di partecipazione,
coinvolgendo le scuole ed un pubblico piu' preparato e sensibile, oltre
quello dei soliti affezionati.
Non credo che in Italia non ci sia spazio per questo tipo di occupazioni;
e' che se non c'e' un'offerta di persone qualificate, non si stimola
nemmeno la richiesta (e potrei portare degli esempi istruttivi, se avessi
lo spazio necessario). Ma c'e' da chiedersi: sara' vero che l'autonomia
fara' indirizzare le scelte delle singole universita' in questo senso e
con una politica davvero responsabile? Se l'autonomia aprira', come credo,
una caccia alle iscrizioni, come si potra' conciliare con il rigore degli
studi anziché con scelte puramente di facciata, che mostrino cioe' il
volto modernizzato di una Facolta' senza averne i contenuti reali?
Le scelte verranno compiute, comunque, dal corpo docente; e qui veniamo al
secondo punto. Cosa comporterebbe una modifica sostanziale degli assetti
attuali dei corsi di laurea? Soprattutto il fatto che i docenti dovrebbero
ripensare il loro ruolo in rapporto ad una offerta didattica rinnovata e
diversificata e in relazione al tempo da dedicare ai loro studenti. Non si
tratta di metter su qualche corso propedeutico o di orientamento per
andare incontro demagogicamente alle esigenze di iscritti che spesso non
sanno nemmeno cosa volere o cosa aspettarsi da una Facolta' di Lettere. Si
tratta di prenderli per mano e guidarli a delle scelte, cercando di
accendere il fuoco di qualche entusiasmo e di qualche speranza, di farli
crescere nella consapevolezza di se stessi e delle proprie possibilita';
cosa che nessun altro sa e puo' dar loro nella societa' attuale.
E si potra' dire che i ragazzi di oggi sono piu' inerti, piu' impreparati,
piu' sprovveduti, ma non per questo devono rappresentare, tra i compiti di
un docente, un semplice e sgradito incidente di percorso. Invece succede
che i professori universitari, schiacciati tra il martello delle loro
ambizioni di carriera e di prestigio scientifico e l'incudine di una
burocrazia pervasiva (che li costringe a faticose riunioni anche per
decidere come mettere a bilancio le spese per la carte delle fotocopie),
maltrattati economicamente, sentono il loro impegno con gli studenti come
un di piu' oneroso di cui sbrigarsi alla svelta.
E' cosi' che per un fenomeno di compensazione (e di chiusura difensiva) la
scrittura di dottissimi saggi di alto equilibrismo filologico, filosofico
ecc. da leggere a un convegno o da pubblicare agli Atti, appaga il loro
narcisismo piu' dell'idea di aver aiutato uno sperduto studente a trovare
una strada che lo metta "nel mezzo di una verita'", sia pure precaria.
Questo e' un atteggiamento colpevole e diffuso che troppo spesso degenera
nel distacco, nell'arroganza, nell'indisponibilita' e, infine, nel fatto
di considerare come una massa indifferenziata un'auditorio di persone che
e' fatto invece di singole individualita' che vanno conosciute, coinvolte,
sollecitate qualunque siano le loro attitudini e il loro livello di
preparazione.
La letteratura, una volta, aveva a che fare con la vita, con le domande,
gli enigmi, le angosce dell'uomo. Far lezione in un'aula universitaria
significa, secondo me, riscoprire ogni volta questa funzione della parola
letteraria e attraverso essa mettersi in gioco come uomini prima che come
studiosi.
Noi oggi dovremmo recuperare il senso di questa funzione del discorso
"sapiente" che pronunciamo da una cattedra, e aggiungervi anche lo scopo
di una formazione che diamo perché ciascuno di quelli che ci ascoltano
possa sperare di realizzarsi come uomo attraverso un lavoro di sua
competenza. Se tradiamo questo compito noi umanisti che non abbiamo alibi,
figuriamoci cosa accade nelle altre Facolta' in cui i fantasmi della
tecnologia, della scienza e del mercato coprono piu' facilmente l'assenza,
ormai, del fine "umano" degli studi.
Questa e' la vera riforma da attuare, se ancora abbiamo la dignita' e le
riserve di energia morale per crederci.



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© Bollettino '900 - versione e-mail
Electronic Newsletter of '900 Italian Literature
DISCUSSIONI / A, settembre 1997. Anno III, 5.

Redazione: Vincenzo Bagnoli, Daniela Baroncini, Stefano Colangelo,
Eleonora Conti, Stefania Filippi, Anna Frabetti, Federico Pellizzi.

Dipartimento di Italianistica
dell'Universita' di Bologna,
Via Zamboni 32, 40126 Bologna, Italy,
Fax +39 051 2098555; tel. +39 051 2098595/334294.
Reg. Trib. di Bologna n. 6436 del 19 aprile 1995.
ISSN 1124-1578

http://www.unibo.it/boll900/
http://www.unibo.it/boll900/archivio/
http://www.comune.bologna.it/iperbole/boll900/
http://www.brown.edu/Departments/Italian_Studies/boll900/

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Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 1995-1997