I «generi marginali» nel Novecento letterario
Seminario di studi

a cura di Daniela Baroncini e Federico Pellizzi

Tavola rotonda
Bologna, 22 maggio 1997
Dipartimento di Italianistica

Partecipanti:
Federico Pellizzi, Paolo Bagni, Andrea Battistini, Remo Ceserani


Discussione

F. Pellizzi: Apriamo la discussione, per chi vuole intervenire; semmai preliminarmente rispondo alle osservazioni del professor Ceserani dicendo che ammetto, in realtà, di aver usato la parola Novecento come parola di comodo; altrove forse ho spiegato meglio perché credo tuttavia che si possa usare la parola in via provvisoria proprio come srtumento di indagine storiografica dubitativa. Del resto Ceserani ha riportato una quantità di esempi novecenteschi per caratterizzare un "moderno" i cui problemi tuttavia ci siamo trovati a discutere in questo seminario, come problemi ancora attuali e vitali. Quindi in realtà si può forse rovesciare la questione: io intendo per Novecento "contemporaneità"; non uso la parola postmoderno proprio per lasciare aperta l'ipotesi storiografica: non so in realtà quali elementi forti ci separino da certi problemi già posti all'inizio del secolo e nello stesso tempo percepisco una grande distanza; se si dice postmoderno e si dice: da qui in poi noi abbiamo dei fenomeni diversi - ammesso che si riescano a individuare - ci si preclude poi forse la possibilità di trovare altre stratificazioni e canali che possono irradiarsi in avanti e indietro oltre ogni tipo di rigida categorizzazione cronologica; in altre parole, mi sembra che il "nuovo" sia ancora da fare, o, come ha scritto Bruno Latour, che ciò che si è definito il postmoderno sia stato un sintomo più che una soluzione nuova. Poi in realtà molte questioni le condivido: anche questa presenza duplice dell'elemento gerarchico (e anche "autoritario" nel senso letterario del termine, di rinascita dell'aura, dell'auctoritas) e dell'elemento relativistico. Il problema era stato affrontato quando si parlava di ipertesti: una delle tendenze che io vedo fortissima nella rete è proprio, di fianco a una proliferazione indifferenziata, una delimitazione di spazi ipertestuali - e sociali - gerarchici; non quello che si è detto spesso, cioè il testo così appagante, frammentario e infinito, ma invece proprio la presenza di strutturazioni, molto articolate e nello stesso tempo dinamiche, in base allo stile e alle posizioni funzionali.

 

W. Romani: ho qualche difficoltà a seguire certi discorsi riguardanti il concetto di genere. A volte mi sembra che si usi il termine "genere" per indicare quelle che potrebbero essere piuttosto "classi" di generi (per esempio "genere narrativo"), altre volte con lo stesso termine si indicano generi veri e propri, specifici e storicamente determinati. Se non teniamo distinti i diversi livelli, rischiamo di non capirci. Se ci riferiamo a classi di generi - ma io preferirei usare la denominazione di "tipo testuale" (narrativo, descrittivo, argomentativo…), - non credo che si possa parlare di conflitti o di marginalità. Se invece parliamo di generi specifici, ha ragione Battistini quando dice che il cambio di prospettiva sposta i punti di vista, e quindi anche il rapporto fra centrale e marginale, magari all'interno della stessa "classe".

 

R. Ceserani: Io preferisco una terminologia in cui si parli dei modi e dei generi. Quindi può capitare per esempio, il modo pastorale oppure il modo romanzesco, il modo mimetico-realistico, il modo fantastico, eccetera; queste modalità naturalmente possono comparire dentro i generi storici, per esempio, può esserci una lettera in cui a un certo punto c'è un'apertura pastorale, può esserci una sinfonia molto aderente a delle regole formali che può aprire un tempo al modo pastorale. Quindi il modo ci aiuta a complicare un po' questo concetto di genere e, secondo me, da questo punto di vista ci chiarisce un po' le cose.

Ritornando sulla questione del postmoderno, mi sembra che si avverta ora un fortissimo ritorno di alcune modalità letterarie antiche, per esempio il romanzesco: se uno legge un romanzo di fantascienza ha l'impressione di leggere una storia di un viaggio nel cosmo fatto con macchine strabilianti, percezioni velocissime, ambienti e atmosfere tutte nuove per colori e décor, poi però se si sofferma ad analizzare il testo, si accorge che sotto la patina ipermoderna si ritrovano le modalità tipiche dei romanzi medievali con l'eroe che incontra gli ostacoli, compie prodezze, abbatte i mostri, salva bellissime fanciulle, utilizza strumenti di magia. Mi arrischio a dire che nel passaggio tra moderno e postmoderno avverto che il cambiamento passa molto di più attraverso la scelta di nuove modalità prevalenti che attraverso nuovi sistemi dei generi. Per quel che riguarda il sistema dei generi forse si assiste a recuperi, a ritorni di gerarchie abbastanza rigide. Invece le modalità prevalenti del postmoderno mi pare che segnino un netto cambiamento rispetto a quelle precedenti. Un netto cambiamento avviene anche nel sistema dei temi, oppure nella diversa modalità con cui i temi vengono trattati. Si assiste, per esempio, a un ritorno fortissimo dell'amore romantico, che non viene, nonostante le tante sperimentazioni, sostituito da un nuovo modello d'amore, e però viene da una parte fortemente recuperato con un atteggiamento nostalgico, dall'altra rivisitato con un atteggiamento ironico. Tutti i temi, tutte le forme, tutti gli stili e tutti i generi vengono rivisitati; quindi non c'è più per esempio nessuna esclusione, mentre la modernità era molto selettiva, e quindi poteva condannare o poteva distruggere, utilizzando a volte con una certa intelligenza generi marginali contro i generi centrali allo scopo di dissolverli. Questa è la dinamica che io vedo in atto. È da essa che deriva l'impressione di contraddizione a cui ho accennato.


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