Recensioni
di Fulvia Airoldi Namer

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Sommario
I.   Carla GUBERT, Ipotesi per una fonte di Massimo Bontempelli
II.  Simona CIGLIANA, I paradossi del candore: Bontempelli tra avventura e mito
III. François BOUCHARD, Eva ultima, du roman à l'autobiographie fictive


  1. Carla GUBERT, Ipotesi per una fonte di Massimo Bontempelli, in «Otto/Novecento», anno XXIV, N. 3, settembre-dicembre 2000, pp. 55-74.

II. Simona CIGLIANA, I paradossi del candore

Carla Gubert è stata colpita da evidenti somiglianze tra alcune frasi-chiave del romanzo che, pubblicato nel 1930, Bontempelli considerava come la sua prima opera autenticamente novecentista - Vita e morte di Adria e dei suoi figli - e certe proposizioni di una novella di Hilaire Belloc pubblicata nel 1919 nel primo numero de «La Ronda», e tradotta in italiano di Emilio Cecchi col titolo La buona donna. La Gubert ricorda che Bontempelli aveva accolto con molto favore la nuova rivista, di cui aveva letto certamente il primo numero (anche se poi egli finì col criticare le posizioni tradizionalistiche de «La Ronda», senza però che venisse meno la sua amicizia con Cecchi, collaboratore tra l'altro - tra il 1926 e il 1927 - dei numeri francesi dei «Cahiers du '900»). La Gubert deduce che certamente Bontempelli non ignorava la novella inglese, e mette a confronto i passaggi simili de La buona donna e di Vita e morte di Adria e dei suoi figli, sottolinando sia le analogie formali sia le differenze tra i relativi contesti. Ella sottolinea anche la straordinaria preveggenza di Cecchi che nel 1919, traducendo Belloc, in un certo qual senso presagisce con undici anni di anticipo lo stile che Bontempelli si sarebbe forgiato via via tra la scrittura «avanguardistica» delle due Vite e lo stile magico-realistico degli anni Trenta. Nel saggio di Carla Gubert ampio spazio è dedicato sia alla genesi e all'importanza de «La Ronda» nel clima culturale italiano degli anni Venti, sia a Hilaire Belloc, alla sua fama in Inghilterra e alla funzione di Cecchi per la sua conoscenza in Italia, sia a Vita e morte di Adria e dei suoi figli in quanto romanzo novecentista. In particolare, la studiosa mette a confronto «la buona donna» in quanto personaggio e Adria, che Bontempelli sembra (se è vero che ha coscientemente «plagiato» Belloc) volerle accostare. Ma l'intarsio forse voluto da Bontempelli tra frasi sue e proposizioni bellocchiane non toglie che vi siano incolmabili differenze tra la concezione primonovecentista e religiosa dello scrittore inglese e la visione insieme neoplatonica, fantastica e magicamente mondana dell'italiano. Questo saggio pone sia il problema di eventuali «fonti» che Bontempelli avrebbe consapevolmente o inconsciamente occultato, sia il problema dell'eredità rondistica non già rimossa, ma piuttosto surretiziamente assimilata. Il saggio della Gubert, prudentemente, suggerisce che se si rileggessero più attentamente certe dichiarazioni dello stesso Bontempelli, si potrebbe forse provare e non solo intuire che la novella di Belloc è molto più di una semplice «fonte» casuale, ricordo di antiche letture stratificate nella memoria.

 

  1. Simona CIGLIANA, I paradossi del candore: Bontempelli tra avventura e mito, in «L'Illuminista», numero 1, anno I, giugno 2000, numero monografico dedicato a La Comicità, pp. 109-118.

III. François BOUCHARD, Eva ultima Torna al sommario dell'articolo

Nel 1987, Simona Cigliana aveva raccolto organicamente i testi frammentari che Bontempelli aveva scritto nell'ultimo decennio della sua vita, in un «Dizionario delle idee», Il Bianco e il nero (Napoli, Guida), con un saggio introduttivo acuto e profondo. L'articolo che pubblica «L'Illumista» è una proposta di lettura trasversale e unificante delle due maniere principali che la studiosa distingue nell'opera di Bontempelli: quella avanguardistica e quella novecentista. Tra le due, oltre al filo conduttore costituito da un intreccio di temi - quali il «candore» (a proposito del quale la Cigliana ha anche il merito di analizzare un'opera di solito trascurata, I sette savi)o lo «stupore» - vi è anche una sorta di costante «avanguardismo» inteso come bisogno perenne di rinnovamento e di superamento dei risultati acquisiti. Tra il «comico parafuturista» delle due Vite postbelliche e il «ritorno all'ordine» del «realismo magico», rimane costante in Bontempelli un «pervicace antirealismo, la predilezione per il fantastico surreale e il magico numinoso, il senso della meraviglia come congelato in un'aura senza tempo». Simona Cigliana trae dall'Avventura Novecentista, autentica summa delle prese di posizione (articoli e saggi) di Bontempelli in tutti i campi dell'arte, della conoscenza, dell'esperienza pratica, tra il primo e il terzo decennio del secolo, i testi con cui ella illustra le sue riflessioni sulla perenne tensione «avanguardistica» di Bontempelli. È noto che egli - per esemplificare il suo concetto di «atmosfera in formazione» e di «stupore» - invita alla contemplazione dei dipinti del Quattrocento toscano o ferrarese: la Cigliana immagina che egli suggerisca la distinzione «scoperta/meraviglioso/gioco vs riflessione/stupore/straniamento». Quanto ai nuovi miti, alla cui creazione devono tendere, secondo Bontempelli, gli artisti - anzi, i narratori - della terza epoca dell'umanità bisogna che essi sembrino veri, affinché il lettore intuisca che il mondo può aprirsi a nuove prospettive. Il «miracolo» è inteso come «contravveleno al prevalere dei valori e dei gusti pratici, economici, materiali sui valoro ideali». Quanto alla «magia», essa non esclude (anzi, esige) il persistere di un atteggiamento ironico, che eviti sia lo scetticismo, sia la credulità fideistica. Globalmente, la «seconda maniera» di Bontempelli non consiste nell'innesto dell'antico sul moderno (neppure quando egli «rivisita» in Giro del Sole il mito tradizionale), non si fonda su uno scavo psicanalitico, né sulla rappresentazione dell'inconscio, ma mira ad «introdurre coscientemente l'artificio della finzione nel tessuto della mimesi realistico-narrativa». In questo senso, «il realismo magico si connota a pieno titolo come un'altra invenzione del moderno». Ma soprattutto, esso è caratterizzato da un perenne dinamismo, perché si possa «ridare profondità e respiro alla immaginazione, rifondare l'atmosfera dove possano nascere nuove, moderne rappresentazioni simboliche dello spirito, ricreare con l'arte lo spazio di risonanza della fantasia e della psiche per non restare schiacciati, annichiliti dall'invasività tutta esteriore dei falsi miti della contemporaneità.»

 

  1. François BOUCHARD, Eva ultima, du roman à l'autobiographie fictive, in «Écritures autobiographiques» (sous la direction de G. Isotti Rosowsky), Presses Universitaires de Vincennes, 1977, pp. 89-94; Les fantômes du castelet: Humains et Simulacres dans l'œuvre de Massimo Bontempelli, in «L'Autre et ses Leurres. Figures de l'Altérité dans la culture italienne contemporaine», Cahiers d'Histoire culturelle, 7, 1999, pp. 21-27.

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F. Bouchard ha tradotto nel 1990 La vita operosa (La vie laborieuse), nel 1992 Eva Ultima e Mia vita morte e miracoli (Eve ultime suivie de Ma vie, mort et miracles. Traduction et notes introductives) presso l'editore Christian Bourgois, Parigi. Entrambi i saggi sono centrati su Eva Ultima, che egli analizza nel primo dei due articoli in funzione di una ricerca articolata e coerente sulla doppia autobiografia fittizia che Bontempelli ha sovrapposto alle nozioni bio-bibliografiche, che lo definivano secondo l'anagrafe e la lista ufficiale delle sue opere. Col ricorso a informazioni vaghe e ad omissioni, Bontempelli - nella presentazione accurata che ne fa Bouchard - è andato forgiandosi un'identità che fosse in armonia con ritmi imposti per così dire dal di fuori alla sua creatività letteraria, drammaturgica, poetica, critica. Nel secondo articolo, Eva Ultima offre invece lo spunto per una ricerca - limitata a un dramma, un racconto, un romanzo - sul personaggio-marionetta nell'opera bontempelliana.
Le tappe della re-invenzione di se stesso-autore da parte di Bontempelli sono, nel 1924, la presentazione della raccolta di saggi La donna del Nadir, nel 1930, la nota biobibliografica redatta per l'Accademia d'Italia. Di particolare interesse sono le ristampe intraprese da Mondadori (a partire dal 1924) delle opere di Bontempelli, le quali offrono all'autore altrettante occasioni di rimodellare sia la sua vita sia i suoi scritti. F. Bouchard sottolinea a che punto siano interessanti le successive manipolazioni di Mia vita, morte e miracoli (1931), nella cui seconda edizione (1938) Bontempelli (il quale scrive in prima persona) si autocita con l'inatteso ricordo di un viaggio a Duilbar, l'immaginario paese dell'avventura di Eva. Il romanzo della dama misteriosa, pubblicato nel 1923 e poi subito anche nel 1924, era una narrazione alla terza persona, con solo due intrusioni dirette della narrazione. Nel 1940, l'aggiunta di due lunghe note finali altera i rapporti tra le diverse funzioni della scrittura, dello scrivente, del lettore. Il romanzo vuol essere un documento, il narrante si confonde con l'autore, lettere inviate da presunti lettori rivelano particolari privi di interesse. F. Bouchard osserva che Bontempelli, dopo esser stato un semplice mediatore tra Eva, il lettore, il narratore, quando con l'espediente delle note (la seconda è addirittura uno spartito) continua il racconto delle loro relazioni, si erge a figura autonoma e diventa personaggio. Un personaggio singolare che, assumendo la paternità del romanzo firmato Massimo Bontempelli, conclude con il lettore un «patto autobiografico» illusorio. Anzi, esso è tanto più fittizio in quanto l'identificazione tra il narratore e l'autore è fondata su di una nuova definizione di quest'ultimo.
Nel secondo saggio F. Bouchard, riprendendo le conclusioni del primo, concernente i personaggi e il sito di Eva Ultima, ribadisce l'interessante ipotesi che il nome di Bululù derivi da «bululu» - personaggio della tradizione spagnola, privo di caratteristiche personali, atto ad assumere la voce e le intonazioni di tutti gli altri personaggi. F. Bouchard ricerca la funzione dei burattini e in genere degli esseri inanimati sul palcoscenico (in questo senso va inteso «castelet») bontempelliano, limitandosi però a Siepe a nord-ovest. Non parla cioè di Nostra Dea e per quanto concerne Minnie la candida, preferisce analizzare il personaggio in una delle tre novelle d'origine - Giovane anima credula. L'automa diventa infine il rigido simulacro di Adria, corpo autosufficiente, idealmente astratto dalle contingenze della carne, raggiunto alla fine dalla Storia - la Grande Guerra - «oltre la quale non esiste più che una catastrofe programmata».

 

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Giugno 2001, n. 1