Domenico Fiormonte
Informatica umanistica e primato delle lingue

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Sommario
I.
II.
Tre pubblicazioni
Riflessioni conclusive



§ I. Riflessioni conclusive

I. Tre pubblicazioni

In questa breve nota1 vorrei segnalare tre recenti – e a mio avviso importanti – pubblicazioni nel campo dell'Informatica Umanistica (o «Humanities Computer Science», secondo l’appropriata definizione di ACO*HUM del 1999)2 e proporre alcune riflessioni sul problema della comunicazione e del riconoscimento scientifico all’interno della comunità internazionale dell’informatica umanistica. Poiché l’occasione di tali riflessioni mi è stata data proprio dalle pubblicazioni menzionate, inizierò senz’altro da queste:

1) José Antonio Millán, Internet y el Español, Madrid, Fundación Retevision, 2001.
2) Raul Mordenti, Informatica e critica dei testi, Roma, Bulzoni, 2001.
3) Rolando Minuti, Internet et le metier d'historien, Paris, PUF, 2002.

Tutti e tre i libri ci giungono dall’area linguistica romanza, ma le comuni radici linguistiche e l’argomento informatico non sono l’unico elemento condiviso. Il primo volume, Internet y el Español, incarna a mio giudizio un nuovo modo di intendere il mestiere degli umanisti-informatici: non soltanto custodi di contenuti, ma protagonisti delle scelte politiche e tecnologiche che stanno dietro le strategie economiche e commerciali. Questo è il solo strumento che può garantire una elaborazione (e non solo confezione) autonoma dei contenuti e delle risorse digitali. Dunque più (e oltre) che un "semplice" saggio quello di Millán è un manifesto politico sul ruolo strategico della lingua (e delle lingue) in Internet. La sua è un’argomentata denuncia del dominio delle industrie anglofone nella progettazione e produzione degli strumenti knowledge-shaping del futuro: cellulari multimediali, software per la traduzione, motori di ricerca, agenti intelligenti, ecc.
In conclusione, Millán3 evidenzia la disperata necessità – per lo Spagnolo così come per altre lingue – di produrre a livello locale una quota significativa di tecnologia linguistica. Ciò può esser fatto sia a livello istituzionale, creando nuovi e specifici percorsi formativi, sia stimolando i governi a proteggere le lingue nazionali dallo sfruttamento indiscriminato. Secondo Millán è un rischio sottovalutare l’egemonia di un pugno di multinazionali: in un futuro affatto lontano, infatti, potremmo essere costretti a pagare le aziende straniere per usare la nostra stessa lingua.

Il secondo volume della mia lista, Informatica e critica dei testi, raccoglie invece alcuni dei – a mio giudizio – migliori saggi pubblicati in Italia sulla teoria e la pratica della filologia elettronica. L’autore è Raul Mordenti (Università di Roma II), italianista e critico letterario, membro dello storico gruppo di Informatica Umanistica fondato all'Università La Sapienza di Roma da Tito Orlandi. Questo gruppo ha cominciato a riflettere sui problemi relativi alle edizioni digitali e alla codifica dei testi sin dagli anni Ottanta (si veda il lavoro curato da un altro membro dell’équipe, Giuseppe Gigliozzi, e pubblicato nella medesima collana nel 1987: Studi di codifica e trattamento automatico di testi). Sebbene non altrettanto conosciuto (ha pubblicato solamente in italiano) Mordenti si situa, a mio parere, tra i pionieri dell’ecdotica digitale: leggendo i suoi scritti il pensiero corre a Peter Robinson (specialista di Chaucer, come Mordenti lo è di Boccaccio) o all’innovativo e per alcuni "eretico" approccio di un critico testuale moderno, come Jerome McGann.

Il terzo volume, Internet et le metier d'historien, condivide molti dei punti di forza summenzionati, ma in special modo la chiarezza e il rigore dell’esposizione – cosa che non sorprende essendo l’autore un rinomato esperto di Montesquieu. Questo volume è apparso nella collana «Ecritures electroniques», della Presses Universitaires de France che negli ultimi anni ha pubblicato altri libri importanti per l’informatica umanistica, come per esempio l’HyperNietzsche di Paolo D’Iorio (2000). Il libro di Minuti si presenta, con modestia, come un’introduzione a Internet per gli storici, ma in realtà ha un respiro ben più vasto: si tratta di un’accurata analisi dell'impatto delle nuove tecnologie sul lavoro intellettuale e di una riflessione sulla ricerca nell’era degli archivi digitali e delle risorse digitali "dinamiche". L’autore discute sugli usi della Rete per le pubblicazioni accademiche e sui problemi di valutazione di tali contributi. In questo settore Minuti vanta un’esperienza diretta, avendo partecipato al varo della sezione elettronica della Florence University Press. Ma l’impegno nel campo dell’Informatica Umanistica è anche testimoniato nel campo della formazione: con altri colleghi Minuti (che è professore di Storia moderna presso l'Università di Firenze) ha ideato e organizzato nel 1998 il biennio di specializzazione "Storia e Computer", uno dei primi progetti formativi nel campo dell’informatica storica.

Sempre all’Università di Firenze la Facoltà di Lettere è in procinto di varare la laurea specialistica in "Informatica per le discipline umanistiche". Insieme a Firenze si ha notizia dei programmi di Pisa, Genova, Venezia, Roma. Con la riforma universitaria, insomma, l’informatica per le discipline umanistiche sta avendo la storica opportunità di essere riconosciuta a livello nazionale. Ma la battaglia vera, per molti, è un'altra. Parte della comunità dell’Informatica Umanistica italiana è convinta che l’unica strada sia il raggruppamento disciplinare autonomo. Punto di arrivo sarebbe ovviamente l’istituzione (e sarebbe la prima volta in Europa) di una o più cattedre di Informatica Umanistica.4

 

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I. Riflessioni conclusive

Non accade spesso, su Humanist o altre liste anglo-americane, di leggere recensioni o segnalazioni di libri pubblicati in lingue diverse dall'inglese. Questa situazione a volte è frustrante, altre irritante, più spesso semplicemente triste, giacché le diversità linguistiche e culturali sono la componente chiave del successo dell’Informatica Umanistica, materia per definizione interdisciplinare.5

Ma le pubblicazioni non sono l'unico problema. Un’incredibile mole di lavoro, sia pratico che teorico, è stato compiuto in Europa Continentale negli ultimi dieci anni. Posso qui rinviare alle relazioni presentate nel 2001 al CLiP (<http://www.uni-duisburg.de/FB3/CLiP2001/>). Ebbene sarebbe difficile trovare traccia di questo dibattito in conferenze anglo-americane recenti dedicate alla formazione. Limpido esempio di questa incomprensione è il recente meeting di Alberta (novembre 2001).6 Soltanto sei (6) su trentacinque (35) relazioni sono state presentate da studiosi europei; e di questi o queste sei, solo due o tre provenivano da aree linguistiche non anglofone. Un po’ poco per una conferenza che almeno nel titolo si autodefiniva "internazionale". Forse "The Humanities Computing Curriculum in UK and North America" sarebbe stato un titolo meno ambizioso ma più vicino alla realtà.

Ovviamente non sto accusando il meeting di Alberta di "Imperialismo disciplinare" – e lungi da me il criticare i membri di Humanist o il suo moderatore Willard McCarty, per i quali nutro profondo rispetto e stima. Tuttavia abbiamo tutti l’obbligo di sollecitare gli esponenti della comunità internazionale di Informatica Umanistica a una maggiore (e rinnovata) attenzione a persone, eventi e pubblicazioni provenienti da paesi che non siano il Regno Unito, il Nord America o gli altri paesi anglofoni. In effetti, la quantità di ricerche, iniziative formative e pubblicazioni prodotte nell’area meridionale dell’Europa e, soprattutto, l’emergere di una nuova visione geopolitica della disciplina, ci dovrebbe spingere a chiedere ufficialmente l’istituzione di una "southern branch" della "Association for Computers and the Humanities" o della "Association for Literary and Linguistic Computing". Oppure occorre fare un passo in più: forse i tempi sono maturi per assumerci le nostre responsabilità e creare, ex novo, un’associazione di professionisti/e e ricercatori/trici rappresentativa di quest’area del vecchio continente.

Non ho alcuna soluzione preconfezionata da proporre e mi piacerebbe discutere questa delicata questione con tutti – anglofoni inclusi. Nondimeno la questione è urgente. So che molti altri colleghi condividono la preoccupazione che l’Informatica Umanistica di lingua non-inglese non sia stata, e tuttora non sia, sufficientemente e accuratamente rappresentata negli eventi e nelle pubblicazioni ufficiali della "Humanities Computing Community".

Fra le righe di questa dichiarazione d'impotenza, la chiave di lettura di tutta una letteratura che ha saputo fare dell'aporia la sua essenza e la sua forza.

 

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Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2002-2003

Giugno-dicembre 2002, n. 1-2