Gabriella Imposti
Ljudmila Petruševskaja. Tra leggenda e parodia

Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata



Ljudmila Petruševskaja, scrittrice moscovita nata nel 1938 e formatasi in epoca sovietica, ha iniziato la propria carriera sin dagli anni Sessanta, ma solo nel 1985 ottiene il primo successo ufficiale e comincia a pubblicare su riviste letterarie di grande diffusione mentre le sue pièces teatrali, dopo anni di rappresentazioni "clandestine", possono essere finalmente messe in scena nei teatri, riscuotendo grande successo. È autrice di numerosi racconti lunghi [povesti], pièces teatrali (atti unici e drammi in tre atti), favole [skazki], e altri testi di difficile definizione generica.
Di particolare interesse una raccolta di racconti brevi dal titolo di Canti degli slavi orientali1 di cui l'autrice stessa fornisce diverse definizioni di genere: nel titolo troviamo "canti" [pesni] e nella breve nota introduttiva "casi" [slučai]. Tuttavia, come vedremo, entrambe le indicazioni sono in qualche modo fuorvianti:

I canti degli Slavi Orientali

Casi Moscoviti

Il caso (slučaj) è un particolare genere del folclore urbano che inizia di solito con le parole: "Ecco c'è stato un caso del genere". I casi vengono raccontati nei campeggi degli scout, negli ospedali, sui mezzi di trasporto: là dove una persona ha un po' di tempo da ammazzare.2

Il termine slučaj non costituisce un termine "generico" consueto, e come tale non è registrato dai dizionari della lingua russa che lo spiegano piuttosto come "evento imprevisto", tuttavia, esiste come formula che introduce la narrazione: "byl i takoj slučaj" [c'è stato anche questo caso] che riscontriamo anche nei testi che qui prendiamo in esame: "vot byl takoj slučaj" [c'è stato un caso del genere].

La sociolinguistica russa più recente ci fornisce una interpretazione di questo genere di narrazione orale: consiste in una comunicazione personale non ufficiale tra un parlante ben identificato e uno o più interlocutori/ destinatari. Ha forma essenzialmente dialogica, con un narratore in prima persona, segnali extralinguistici, come la mimica e il gesto e segnali linguistici, come ellissi, deissi, esitazioni, ripetizioni e il tono della voce.3
Da un'analisi dei testi della Petruševskaja risultano tuttavia caratteristiche molto diverse:4
1. Il narratore non interagisce con lettore/ascoltatore: la narrazione è in terza persona, e si tratta di un narratore onnisciente, non coinvolto nella vicenda.
2. Il linguaggio tende non allo standard colloquiale ma a quello letterario, anche se in apparenza "comune". Sono usate forme libresche come gerundi, participi, sostantivi astratti, proposizioni complesse, si evitano costruzioni implicite, ellissi, ripetizioni proprie dello stile orale.
3. La storia è molto compatta e coerente con caratteristiche analoghe al racconto "a sorpresa".5
Se dunque il nesso con il "folclore"6 non può essere identificato nella definizione di genere esplicitamente fornita dall'autrice, gli indubbi elementi di "fantastico" che costituiscono un tratto pertinente di tutti i brevi racconti di questo ciclo rimandano ad un altro genere del "folclore" orale contemporaneo, e cioè alla bylička. Questo termine significa letteralmente "piccolo evento" oppure "cosa accaduta", ed è derivato dalla forma del passato remoto byl del verbo byt' "essere".7 La bylicka solitamente narra di fenomeni e creature sovrannaturali tratti dal pantheon della mitologia slava (domovoj, lešij, rusalka),8 o dell'incontro tra esseri umani e persone dotate di poteri sovrannaturali (streghe o stregoni), o con cadaveri che risorgono dalla tomba. Il tratto più rilevante è la combinazione di elementi realistici e sovrannaturali, come indica l'insistenza sulla autenticità degli eventi, sui testimoni oculari e così via.
Dal punto di vista strutturale osserviamo una preferenza per l'esposizione della fabula pura e semplice, centrata su un unico episodio con finale tragico; gli eventi cruciali vengono introdotti da un vdrug [improvvisamente].
Nei "casi" della Petruševskaja riscontriamo alcune analogie con la bylička:
1. l'uso di formule introduttive stereotipate: odnaždy [una volta], žil čelovek [c'era una volta un uomo];
2. la stilizzazione dei personaggi: si tratta in genere di ruoli, per così dire "universali" (moglie, marito, figlio, uomo) o sociali (un generale, un aviatore), ecc.;
3. la focalizzazione: sulla storia piuttosto che sul personaggio, la cui vita interiore non è affatto indagata dal narratore;
4. la presenza di eventi sovrannaturali: ricomparsa/reincarnazione dei morti, personificazione e animazione degli oggetti;9
5. la combinazione di realistico e sovrannaturale: l'ambiente è quello urbano, riconoscibilissimo, di Mosca, con i suoi realia, gli appartamenti in coabitazione, le tessere annonarie del periodo della II guerra mondiale, e così via;
6. l'esitazione tra spiegazione realistica (allucinazione, pazzia) e sovrannaturale degli avvenimenti, come è evidente in Saluto materno;
7. l'effetto shock del finale, ma abbiamo anche un finale consolatorio.10
Accanto a queste analogie troviamo tuttavia anche notevoli differenze che riguardano soprattutto il tessuto linguistico-sintattico e la funzione dei racconti.
La lingua, come abbiamo già accennato, presenta caratteristiche sintattico-stilistiche che si allontanano da quella colloquiale. Ciò non esclude, d'altro canto, l'inserimento di molti elementi tipici dell'"oralità": volgarismi, proverbi, fraseologismi. Ad esempio in Il quartiere nuovo "Žena ego prosto iz koži von lezla..." [sua moglie fece di tutto..., lett. uscì dalla pelle per]; "Vasilij ... bereg svoju spermu kak zenicu oka..." [Vasilij ... proteggeva il suo sperma come la pupilla dei suoi occhi...]; "s čužim mužikom trachnetsja" [scopa con un altro uomo].11
Per quanto riguarda poi la struttura narrativa, si constata una certa compattezza e "artificiosità" che gioca molto sulla costruzione del finale inaspettato, sull'ambiguità dei ruoli dei personaggi e dei titoli, i quali spesso acquistano senso solo a lettura completata. Ad esempio Saluto materno, che inizialmente assume una connotazione sinistra, quasi derisoria e alla fine del racconto si rivela invece misteriosamente provvidenziale, oppure La moglie dove il titolo fornisce la chiave per interpretare tutto il "caso".
Registriamo inoltre uno spostamento dall'ambiente rurale, tipico della bylička, ad uno urbano, moscovita, ben identificabile, ad esempio il quartiere di Sokol'niki. Infine, proprio la forma scritta, e la collocazione in una rivista letteraria dei casi della Petruševskaja muta la funzione della bylička da cognitiva (e cioè spiegare il mondo dell'ignoto come interferenze dal sovrannaturale) in estetica, di intrattenimento: il lettore infatti è coinvolto nel gioco di mistificazioni e illusioni ottiche, calembours e falsi indizi che il testo gli offre.12 Il genere "casi" indicato dall'autrice richiama alla mente del lettore russo un'altra possibile fonte letteraria, e cioè il ciclo Slučai di un autore degli anni Venti-Trenta, Daniil Charms, che proprio alla fine degli anni '80 veniva riproposto, dopo pluridecennale ostracismo, all'attenzione del pubblico russo.13
Accanto ad alcune analogie strutturali come la brevità dei testi, l'ambientazione urbana (nella Leningrado degli anni Venti), i realia della vita quotidiana sovietica, possiamo notare anche differenze molto interessanti e sintomatiche tra le diverse poetiche e visioni del mondo della Petruševskaja e Charms. Nei "casi" charmsiani viene spesso ripresa la struttura iterativa tipica delle filastrocche del non-senso infantile: l'assurdo è ottenuto ripetendo l'azione più volte con lievi variazioni e risultati sempre paradossali, ad esempio il caso delle vecchie che cadono dalla finestra una dopo l'altra o del falegname Kušakov che continua a cadere e a rompersi qualcosa. C'è una marcata "crudeltà" nella visone del mondo, non solo nella descrizione di uccisioni, morti e rovine, (ad esempio Maßkin ha ucciso Koškin, Cosa si vende adesso nei negozi, I cacciatori), ma anche nella evidente indifferenza del narratore che spesso si sbriga a chiudere la storia con una formula che ricorda quella tipica delle favole tradizionali "E questo in sostanza è tutto",14 "meglio allora non parlarne più".15
Ora, se torniamo ai "casi" della Petruševskaja, dal punto di vista della struttura del racconto notiamo invece una notevole coesione - oltre che sintattica - della narrazione a fronte della frammentazione charmsiana,16 e - soprattutto - una "completezza" del racconto, che non si interrompe improvvisamente come se il narratore si fosse ad un tratto reso conto della futilità di quanto sta narrando, bensì fornisce una soluzione a volte aperta, spesso "consolatoria". Se Charms trascina i suoi "casi" nel campo dell'assurdo e del grottesco,17 la Petruševskaja passa invece in quello del fantastico e, verrebbe quasi voglia di dire, dell'apologo.
Fin qui l'analisi dell'indice paratestuale "casi", ma passiamo ora a quello di "pesni" che compare nel titolo. L'autrice lo usa già in una raccolta di atti unici e pièces del 1988.18 Si tratta un termine colmo di reminiscenze letterarie: non ultime le Pesni zapadnych slavjan [Canti degli slavi occidentali] pubblicate da Puškin nel 1834 a parziale traduzione e imitazione di canti (pseudo)popolari serbi, raccolti da Mérimée ne La Guzla (1827). La Petruševskaja riprende il titolo puškiniano cambiando però l'"orientamento" dell'aggettivo: "orientali" invece che "occidentali"19 anche se va detto che Puškin avrebbe dovuto, per correttezza terminologica, usare il termine "južnye" [meridionali] e non "zapadnye" [occidentali] in quanto, secondo la suddivisione della famiglia degli slavi in tre ceppi, slavi orientali, occidentali e meridionali, i serbi rientrano tra questi ultimi. Già Puškin dunque aveva fatto un'operazione in certo senso mistificatoria denominando i serbi come "occidentali", forse per meglio contrapporli agli "orientali" russi. In questo gioco incrociato di mistificazioni non va dimenticato il fatto che a sua volta La Guzla di Mérimée era un "falso" letterario; c'è quindi uno stratificarsi di operazioni mistificatorie ad ogni ripresa e intervento di ciascun scrittore.
Dalla lettura dei "canti" puškiniani ne risulta evidente inoltre il carattere fantastico-folclorico che è puntualmente ripreso, e adattato dalla nostra autrice contemporanea. Alle forme tradizionali del folclore (i canti, le romanze) si sono dunque sostituite altre forme, più rispondenti alla società contemporanea, urbana: testi teatrali, racconti brevi, aneddoti, "casi".20 Questi sono i canti che il XX secolo può comporre, questi sono i canti che il folclore urbano può avere. Gli elementi del sovrannaturale e del fantastico sono però gli stessi dei canti popolari e delle favole.

Nota bibliografica

Traduzioni italiane delle opere di Ljudmila Petruševskaja:

Amore immortale, Milano, Mondadori, 1990.
Un destino oscuro, (trad. it. G. Lombardo e V. Michajlovna), in Racconti dall'URSS, (a cura di G. Spendel), Milano, Mondadori, 1990, pp. 279-281.
I nuovi Robinson. Cronaca della fine del XX secolo, (trad. it. G. Scandiani), in Narratori russi contemporanei, Milano, Bompiani, 1990, pp. 405-418.
Cinzano, (trad. it. C. Sugliano), in Il teatro della Perestrojka, Genova, Costa e Nolan,1991, pp. 119-161.
Tre ragazze vestite d'azzurro, (trad. it. C. Sugliano), Milano, Ricordi, 1991.
Dopo le favole, (trad. it. C. Sugliano, nota di B. Mozzone), Genova, Il Melangolo, 1992.
Il mio tempo è la notte, (trad. it. M. Crepax), Milano, Mondadori,1993.
Favole dopo le favole, (trad. it. C. Sugliano, nota di B. Mozzone), Genova, Il Melangolo, 1995.
Il mistero della casa, (trad. it. C. Sugliano), Roma, Armando Editore, 1998.

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna al sommario dell'articolo Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2002-2003

Giugno-dicembre 2002, n. 1-2