Emanuela Orlandini
Essi pensano ad altro. Raccontare la finitudine

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
Introduzione
«Essi pensano ad altro»: una possibile lettura
Essere diversamente consapevoli
La scrittura, la vita, l'ascolto
Bibliografia essenziale per un'ipotesi di lettura



 

«Un percorso verso il cuore dell'enigma. Un percorso lungo il quale non si progredisce visibilmente, ma ci si assottiglia. Fino a perdere l'identità, la differenza, la sofferenza?».
M. Luzi

§ II. «Essi pensano ad altro»: una possibile lettura

I. Introduzione

Tentando oggi un «percorso verso il cuore dell'enigma», come suggerisce Luzi, si giunge in breve a un preciso luogo, nel quale è possibile quel miracoloso incontro tra scrittore e lettore; dove la scrittura muove dalla percezione di un vuoto, inizia una ricerca che tenta di colmarlo e recuperare l'origine. Il problema del senso e della sua verbalizzazione sono quindi inscindibili da una lettura del come se. Una scommessa sul senso. Il testo nasce perché muove intorno a un'intuizione e a questa scommessa. Un percorso verso il cuore dell'enigma. Vale tentare. Lo spazio della ricerca diventa quello della domanda. Una domanda che si apre su un abisso. Un'interrogazione che apre essa stessa un vuoto, nel sentire di una mancanza, comune.

È incontrando Silvio D'Arzo, sovversivo ed eccentrico scrittore d'ombra in quel panorama reggiano tra avanguardie e arte politicamente impegnata degli anni Quaranta, che si avverte immediatamente un senso di disagio. Una letteratura che sembra portare in sé la convinzione che tutta la verità e la realtà non possano stare entro le mura del linguaggio, o quasi. È come se la scrittura s'incaricasse di risvegliare le preoccupazioni di tutta una vita, di provocare con tutti i mezzi di cui dispone, perché qualcosa si ribelli al suo fondo e risalga fino alla superficie.
Scrittore dell'abisso, presentava al lettore già dalle prime esperienze di scrittura le sue strane «creature quasi d'altra specie», soprattutto angeli, ciechi, un funambolo, uomini diversi che percorrevano le strade in un diverso camminare. E per di più, schivo e restio a dichiararsi ai concittadini, usava lo pseudonimo.1 La sovversione muoveva anzitutto dalla scrittura, impalpabile, inafferrabile, provocatoria.

 

§ III. Essere diversamente consapevoli Torna al sommario dell'articolo

II. «Essi pensano ad altro»: una possibile lettura

Nella lettera del 24 marzo 1942 Aldo Garzanti rispondeva alla lettura del testo arrivato da Reggio Emilia. Nel considerare come forma e pensiero si traducessero inevitabilmente in uno sdoppiarsi incessante della verità, in una narrazione sospesa intorno a strade popolate di fantasmi, Garzanti ammetteva di trovarsi coinvolto in una «martellante e ossessionante allucinazione». Il lettore, necessariamente coinvolto nel gioco, doveva «[…] per molte e molte pagine aspettare, attendere, sperare». E alla fine restava sempre un dubbio sulla qualità delle presenze che abitavano quel territorio.
Il romanzo viene rifiutato, troppo esile e forse inconcludente, poi stampato solo nel 1976 per la cura di Paolo Lagazzi, poi quasi dimenticato, fino ad oggi, riproposto nel cinquantenario della morte del suo autore, nella sua prepotente modernità: l'uomo si ritrova a parlare a cieli vuoti, ma crede ancora nel tentativo di colmare il durissimo silenzio.
Silvio D'Arzo, alias Ezio Comparoni (l'identità autentica che diventa tuttavia ombra dello pseudonimo più conosciuto), la cui fama sembra ormai necessariamente legata al celebre giudizio di Eugenio Montale su Casa d'altri,2 viene riscoperto, tutto e oggi, se così si può dire, dal momento che in fondo sempre è stato là. Dimenticato, oggi il romanzo torna alla ribalta, già preceduto negli anni addietro da pubblicazioni delle stesure contemporanee, compiute e incompiute, di racconti e abbozzi di romanzi, nei quali gli spunti sono sempre recuperati per altra struttura narrativa. Si fa portavoce dei presentimenti darziani. La ricorsività dei motivi e delle cortesi immagini, di quelle che fanno spalancare gli occhi e il cuore al lettore, è indice dell'importanza della ripetizione, quasi ammiccamento al lettore che lì, proprio lì forse c'è qualcosa, in un breve momento in cui la narrazione è sospesa e allude a tutt'altro. Il senso della ripetitività è percorso verso il testo originario, verso il nucleo. La ricerca di uno spazio letterario unitario.
La misura del racconto, forma privilegiata come rinuncia temporanea ai grandi affreschi oltre che soluzione stilistica intermedia, è superata nei successivi progetti delle opere-mondo3 ma insieme sempre recuperata.
Il raccontare diventa dunque necessità, sostenuto da una scrittura multiforme che a tutte e insieme a nessuna forma intende legarsi, avvicinando endecasillabi a storte parole, un periodare scarno e nominale a sottili ammiccamenti al lettore. La scrittura sempre, anche brutta, purché scrittura, arriva persino ad augurare l'autore.4
La sovversione di una parola come questa sta innanzitutto nella sua qualità prima: la provvisorietà. La continua e mai conclusa riscrittura, l'inesausta contro-creazione alla quale l'autore sottopone sempre il testo, mai fermo, al quale il lettore poi, come necessità primaria, viene convocato a rispondere. Un muovere intorno ai nuclei forti del sentire, limando la parola che tende ad uscire sempre altra, diventando a volte persino balbettio.
Ma la parola, pur nella sua magmaticità perché in continuo mutare, è sempre azione, per arrivare all'enucleazione di una domanda. Un movimento dell'interrogare che è anche il movimento della vita, movimento stesso della scrittura che s'incarica della sovversione del silenzio.
Ci si rende immediatamente conto di come, grazie all'uso di una parola così sospesa e ferita, modo privilegiato d'ascolto, lo scrittore dica con precisione al lettore dove egli debba iniziare la ricerca, proprio là dove il significato sta sospeso e la verità glissa di continuo perché non radicata in un terreno stabile. Una tensione verso una Presenza invocata.5
Nello strano romanzo che è Essi pensano ad altro, rifiutato da editori e pubblico e poi dimenticato, la lingua balbettante, che impedisce al lettore anche pur quella ingiustificata sensazione di possedere il senso ultimo della scrittura, dà la misura dell'indagine da cui muove la scrittura stessa. La ricostruzione di una mappa di senso che individui le vie percorribili nella scrittura per mezzo di essa. Per questo la lettura diventa sfida e indagine comune intorno a un comune sentire: la stordente assurdità dell'esserci, potremmo dire.
Essi pensano ad altro è il romanzo della solitudine e del silenzio. Centrale, nel continuo vagare senza azione dei personaggi, è la loro indagine sul vuoto. Le parole e i passi che lo riempiono. Le parole che poi se ne fuggono, straripando dalle finestre, o perdendosi tra le ombre della strada.
Un impossibile camminare, tra la vacuità dell'attesa e l'azione improbabile, intorno a un tema di fondo che è sempre il medesimo: l'incapacità della parola, per sempre depotenziata e debole. Un qualcosa di nuovo e di altro potrebbe forse riavvicinare gli uomini tutti, chiusi in un desolante monologo e abitanti di un mondo dell'ovvio, dove nemmeno gli occhi dei bambini si stupiscono più: il silenzio, come qualità prima del sentire, o la musica, che corregge l'ostilità delle cose e di tutto.
I due protagonisti del romanzo, il vecchio imbalsamatore Arseni e il giovane studente Riccardo, sono diversi da quegli uomini della strada indifferenti e grigi; strane «creature quasi d'altra specie» ricercano il varco.
Gli angeli e tutte le presenze altre che abitano i racconti darziani diventano sovvertitori dell'ovvietà, guide all'uomo nella sua spericolata corsa allo svelamento della Realtà. Mentre oggetti e uomini e mondo stanno intorno immobili, nella loro ostilità, le strade diventano labirinti.
Ecco che quanto detto basta per capire come D'Arzo scelga la pausa come momento privilegiato per l'ascolto, per sondare l'uomo e il silenzio che sta dentro e fuori di lui; la sospensione diventa modalità di narrazione.

 

§ IV. La scrittura, la vita, l'ascolto Torna al sommario dell'articolo

III. Essere diversamente consapevoli

Un altro romanzo incompiuto scritto negli stessi anni 1940-41, L'uomo che camminava per le strade, confermerebbe quest'ipotesi di lettura, nella sua leggerezza e nella lingua sospesa che continua da un testo all'altro: un dialogo interrotto. Il titolo emblematico del primo romanzo suggerisce forse come ci sia sempre un pensare ad altro per chi vuole vedere il fondo, oltre l'ovvio; di come si verifichi uno spostamento dello sguardo, mentre tutto forse rimane lo stesso. Il titolo del secondo, L'uomo che camminava per le strade, allude al motivo stesso del camminare, metafora lucida di un girovago della via per il quale semplicemente sotto il piede «ogni sasso un'idea» e nulla più.
Il protagonista Carlo Stresa cammina. E pensa. «Ogni sasso un'idea».
Il camminare sta quasi per un «pensare» necessario, il movimento fisico indispensabile all'indagine. Le strade sono deserte e il cielo è sempre «un pezzo di cielo», alto tra le case. Ma l'incontro con un uomo davvero singolare, l'Altro per eccellenza, provoca un improvviso cambiamento del punto di vista: Ladi il cieco, coinquilino. La cecità diventa condizione privilegiata per l'indagine, per un improvviso amore totale per l'umanità. Stresa tenta di parlare al cieco come il cieco e chiude gli occhi. Ma le parole, senza più sguardo, non più sue, fuggono via, lasciandolo solo ed estraneo a se stesso.
Ma all'improvviso la comprensione del tutto: Stresa ha occhi nuovi, pensa a Ladi come a un enorme angelo dalle grandi ali nascoste sotto la giacca. La parola diventa allora occhio che tenta una conciliazione con tutto ciò che incontra sul cammino.
Il tentativo è quindi ancora una volta, così come in Essi pensano ad altro, non più di risalire verso l'alto, ma di scendere dentro se stessi, dove si agita qualcosa di comune. Il proprio volto trasfigurato in un'universale smorfia di dolore. Solo da questo sapere della morte il permesso di alzare gli occhi al cielo. Un cielo su un deserto o che diventa forse esso stesso pietra. E qui arrivano gli angeli o i ciechi o i diversi, in terra a rimuovere l'infelicità o a riportare la consapevolezza. E questo provoca turbamento. L'essere diversi è un essere dunque diversamente consapevoli.
La provvisorietà, condizione prima della narrazione darziana, la stessa degli pseudonimi, è chiamata nei motivi che tornano, quasi ossessivi, come sfondo alle vicende: l'ombra, lunga e come viva sotto ai piedi, si confonde con le altre presenze vive e morte del giorno e della notte, lasciando un dubbio sulla sua consistenza; le mani, in tasca, nascoste e al sicuro, come rimedio contro la solitudine; i confini tra cose e uomini sono sbiaditi. Alla maniera del miglior Lawrence, uno dei prediletti da D'Arzo e vero «maestro dell'indugio», per ripeterlo, ogni racconto porta con sé la dimensione dell'attesa, quella di «una storia in cui non accade quasi nulla», là dove sembra importante non tanto quello che accade ai personaggi, quanto le possibilità che si spalancano all'azione. Tutti i racconti, passando attraverso alla spaventosa domanda finale di Zelinda di Casa d'altri, convergono nel grande racconto, in Nostro Lunedì di Ignoto del XX secolo, tutti recuperati per indicare al lettore come, pur nella singolarità di ogni esperienza, emerga il comune volto, la stessa voglia di sapere, il personaggio unico. Si assista sempre insomma a un'identica sottile rappresentazione. Tra la pietra dura e un cielo desertificato si muove un uomo alla ricerca del suo cammino. E nell'attesa della domenica. Da qui il titolo dell'ultimo progetto incompiuto, nel vivo della società contemporanea e che intende soppiantare le fatiche precedenti, in un progetto totale, «una specie di Eneide del XX secolo»; parla del nostro tempo e degli uomini. Qui non ci sono angeli, ciechi, funamboli, ma solo uomini.

 

§ V. Bibliografia essenziale per un'ipotesi di lettura Torna al sommario dell'articolo

IV. La scrittura, la vita, l'ascolto

È nei saggi inglesi che la parabola di scrittura sembra meglio svelarsi, tentando di rinominare; a sua volta D'Arzo, lettore, scopre la difficoltà di una lingua incapace di dire il comune, per ritrovare solo un comune e spaventoso domandare.
Da Conrad impara che esiste solamente un'unica, importante inchiesta orizzontale, tutta terrena, sul significato di essere uomini e di ritrovare una dignità proprio nel non volere abdicare, nonostante tutto. Da Hemingway che è necessario imparare a vivere «come altri una stanza d'albergo», uscio a uscio. Il rapporto con l'Altro è costruito intorno ad un termine comune, a una verità: «essere uno come gli altri», «la comune solitudine». Un'isola, tra gli uomini, magari silenziosa e discreta.
Ciò che sta intorno alla scrittura e al suo scrittore non è quindi dimenticato, anche se non direttamente esibito sulla pagina; e si intendano per intorno la guerra e il momento del dopo, che raccoglie i detriti e che ha in sé come cifra e codice genetico necessariamente la Morte. Nell'ultimo grande progetto incompiuto per la scomparsa prematura dello scrittore quel luogo privilegiato d'incontro tra lettore e scrittore resta sospeso; D'Arzo s'interroga sul valore della letteratura nei momenti di passaggio.
Il rapporto complesso e provvisorio che l'opera d'arte intrattiene col tempo apre la possibilità (al lettore) a quel prendere sul serio il miracolo della sopravvivenza della grande arte, luci e ombre comprese. L'importanza del raccontare è forse ancora commisurata sull'interesse e la disponibilità all'ascolto, sulla fiducia a lasciarsi portare, sospesi, sull'abisso. Ricerca e sospensione portano a una perfetta corrispondenza tra contenitore per la narrazione e il dire; la struttura non è importante, forse neanche la parola, se resta immobile. Si dilata o restringe sulla volontà di dire dello scrittore. Il potere della parola sta nella sua metamorfosi, nella sua generosità a diventare silenzio o musica, nella sua sospensione. Piàdeni, il bizzarro maestro di violino di Essi pensano ad altro, si fa portavoce della verità più taciuta. Di notte, alto sulla scala e gli occhi «disumani e senza luce» rivolti alla luna, in un silenzio che si stende sulle cose e forse su tutto, grida ubriaco:

«Non c'è assolutamente niente da capire [...]. Non bisogna cercare di capire tutte le cose, credo bene [...] non ci sarebbe senso, dopo tutto. Basta sentire o sentirsi musica e se non si sente la musica dentro il sangue è come essere sassi in mezzo all'acqua. Neanche sulla strada, in mezzo all'acqua, tanto che nessuno li vede, o li piglia in mano magari per lanciarli».

Ma potremmo convenire, come suggerisce l'Ignoto del titolo che attende uno speciale lunedì, che la domenica è sempre domenica, anche per chi non crede in un venerdì santo di sofferenza, e che anche l'ateo lo sa. La domenica si carica inevitabilmente di una certa aura sacrale, ha in sé un'incancellabile impronta sacra. Lo scrittore si fa portavoce di un'umanità misera, disillusa, frantumata, nell'attesa di ritrovare la propria casa, nel soffocante senso di provvisorietà che avvolge ogni cosa. È qui che sembra ricomporsi il frammento, nella stessa struttura sotterranea dell'opera, in quella tensione alla totalità che la muove, nella quale i contrari si riconciliano. Un monologo collettivo in cui la pluralità di voci è per un'unica, assente. La letteratura per D'Arzo, potrebbe diventare forse il luogo da cui ha inizio questa domanda.
In Nostro Lunedì d'Ignoto del XX secolo cala la maschera, lo pseudonimo che nasconde l'io e prospetta tutte le possibilità. La scrittura è ormai senza più diaframmi e distanze; come nei razo provenzali parola e vita coincidono. Un'apertura verso tutte le possibilità del reale. Un percorso di scrittura, una parabola creativa che diventano i momenti di un'intera esistenza.

 

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V. Bibliografia essenziale per un'ipotesi di lettura

  • Ricoeur, Paul - Dal testo all'azione. Saggi di ermeneutica, Milano, Jaca Book, 1989.
  • Frasnedi, Fabrizio - Leggere per scrivere, Roma, Editori Riuniti, 1992.
  • Steiner, George - Vere Presenze, Milano, Garzanti, 1992.
  • D'Alessandro, Paolo - Esperienza di lettura e produzione di pensiero, Milano, LED, 1994.
  • Lukács, Gyorgy - Teoria del romanzo, Parma, Pratiche, 1994.
  • Moretti, Franco - Opere mondo, Torino, Einaudi, 1994.
  • Ronchi, Rocco - Luogo comune. Verso un'etica della scrittura, Milano, Egea, 1996.
  • Anselmi, Gian Mario; Bertoni, Alberto - Una geografia letteraria tra Emilia e Romagna, Bologna, CLUEB, 1997.
  • Genet, Jean - Il funambolo e altri scritti, Milano, Adelphi, 1997.
  • Steiner, George - Nessuna passione spenta. Saggi 1978-1996, Milano, Garzanti, 1997.
  • Frasnedi, Fabrizio - La lingua, le pratiche, la teoria. Le botteghe dell'agilità linguistica, Bologna, CLUEB, 1999.

 

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