Leggere in metropolitana*
di Francesca Sanzo

 

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A Milano, nell'inverno 2002, il Comune, in collaborazione con ATM e alcuni altri enti e società, ha lanciato una bella iniziativa: in metropolitana venivano distribuiti gratuitamente dodici racconti da leggere durante i tempi di trasferimento che quotidianamente ogni milanese è costretto a passare sui mezzi pubblici. Si tratta di dodici racconti pensati per un pubblico variegato quanto ad esigenze di lettura e di spostamento.
Gli autori dei racconti sono tutti giovani, spesso milanesi, di discreto talento, e, nella misura della brevità, raccontano storie rifacendosi a generi differenti e a stili personalissimi.
Ogni racconto è preceduto dalla prefazione di un critico o di uno scrittore più noto, come per esempio Andrea G. Pinketts o Raul Montanari.

Per molto tempo, soprattutto in Italia, il racconto è stato considerato, anche dalla critica, un genere marginale rispetto al romanzo. Questa iniziativa mi è parsa un bel modo per riabilitare una forma narrativa che si regge sulla rapidità, esattamente come i viaggi nella metropolitana milanese.
Dunque un filo rosso lega i racconti al mezzo, nel vero senso della parola. Non è un caso che ognuno di essi si presenti in base ad una lunghezza calcolata in numero di fermate e non è un caso che un'iniziativa del genere abbia trovato terreno fertile in una città come Milano: in poche ore i punti di distribuzione (chiamati «Juke-box letterari») di «Subway-letteratura» erano vuoti.
Come scriveva Cortázar, 1 chi sceglie la forma della brevità narrativa sa che non potrà procedere in maniera cumulativa e che il tempo non gli è alleato; chi sceglie la metropolitana per recarsi al lavoro ogni mattina, allo stesso modo sa che il tempo non gli è alleato, che deve calcolare ogni passo ottimizzandolo e che le letture da viaggio saranno una parentesi necessaria a non fissare il buio tunnel dentro al quale corre il treno, ma che allo stesso tempo dovranno concludersi abbastanza rapidamente. Scesi dai mezzi, di nuovo si deve correre per giungere sul posto di lavoro.
Questi racconti sembrano connotare gli spostamenti come viaggi e non come "non momenti" di alienazione totale. L'atto della lettura diventa un modo per ricordarsi, al termine di una faticosa giornata o nel suo inizio, che esiste una dimensione altra, in cui la rapidità non è fatica ma grande pregio: i buoni racconti - per tornare alla puntuale analisi che ne fa Cortázar - sono coaugulo di una realtà infinitamente più vasta dell'evento narrato, metafora che apre verso il grande, pur partendo dal piccolo. La significazione è quindi determinata non dal tema in sé, ma da un luogo che sta prima e dopo di esso.
Dunque in quella zona che non è città ma è così funzionale alla città stessa, dove tutto scorre veloce, la lettura di un racconto acquista un significato nuovo e inusuale.
Per quanto riguarda i temi affrontati, si spazia dal thriller metropolitano alla fantascienza, al genere rosa. Mi è sembrato significativo che la maggior parte delle storie narrate fossero incorniciate da una Milano in cambiamento, quella dei ricordi, quella dell'alienazione e quella di plausibili futuri.

Linea Gialla di Vittoria Maggio è uno dei racconti che ho gradito maggiormente, forse proprio perché l'ambientazione è quella underground della metropolitana. In una città densa di gente, una ragazza si ritrova a vivere un giallo metropolitano mentre lotta con personali paure e con l'alienazione di una solitudine così tipica di luoghi congestionati com'è il capoluogo lombardo.
«Una storia di fresca ossessività, ricca, molto ricca di suggestioni condensate in quanto immediate» scrive Andrea G. Pinketts nella prefazione.
Il retroterra è quello dei racconti di Agatha Cristhie e la protagonista diventa, senza quasi accorgersene, una Miss Marple che indaga le pieghe della presunta normalità di cui sembra avere paura, forse proprio perché è nella normalità che si coltiva la solitudine e l'alienazione quotidiana.
Il racconto è leggibile e ti tiene moderatamente col fiato sospeso, quel tanto che basta a cercare una dimensione altra nella realtà che ti circonda durante il tragitto.

In La verità sommersa di Alice Cehovin gli scenari sono quelli di una Milano del futuro e i referenti culturali sono principalmente i romanzi di P. Dick, senza dimenticare Blade Runner, trasposizione cinematografica di uno di essi.
Milano è una città diversa, risorta dalla tragedia di devastazioni ambientali, in cui ciò che appare non è ciò che è realmente. Le atmosfere cupe sono le stesse del film sopra citato e i personaggi sono avvolti in quella patina di cinismo tipica dei racconti di Dick. E come scrive in prefazione Andrea Carlo Cappi:
«Scrivere del futuro è il modo migliore per mettere a fuoco i problemi del presente. Alice Cehovin i problemi li mette a ferro e fuoco, mostrandoci un futuro così presente da diventare destabilizzante».

Personalmente ho gradito molto questa iniziativa, tanto più che nell'ambito di una letteratura italiana che lascia poco spazio a chi tenta di emergere, si è data l'occasione, a giovani che hanno voluto e si sono saputi misurare con la brevità narrativa, di essere letti.

 

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Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2002-2003

Giugno-dicembre 2002, n. 1-2