Ragged-looking birds*
di Massimiliano Colletti

 

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Sommario
I.
II.
Ragged-looking birds
Bibliografia carveriana in Italia



§ II. Bibliografia

I. Ragged-looking birds1

 

«Buona fortuna anche a te, fratello mio[...].
Spero che la tua nave arrivi in porto.
Raymond Carver, da «Elefante»

Immagino la mattina Carver svegliarsi: la testa che ancora fa male, o forse no.
Immagino la sua casa, da qualche parte chissà dove, tra le misteriose montagne dell'Oregon. Se ne sta lì, ancora un poco assonnato, indeciso se fare finalmente colazione o sonnecchiare ancora un po'. Quindi decide: si riempie la tazza di caffè e si siede alla sua scrivania; accende una sigaretta e in cuor suo crede che questa sarà una mattina positiva, una di quelle che in una sola seduta vedono nascere un nuovo racconto.
Immagino che potrebbe più o meno essere andata così qualcuna delle sue esperienze narrative, generino esse versi o prosa, momenti strettamente collegati con la realtà di tutti i giorni e che trovano nella realtà un repertorio poetico inesauribile:

  Make use of the the things around you.
This light rain
Outside the window, for one.
This cigarette between my fingers,
These feet on the couch.
The faint sound of rock-and-roll,
The red Ferrari in my head.
The woman bumping
Drunkenly around the kitchen...
Put it all in,
Make use.2


Il mondo carveriano è fatto di uomini e donne gettati nel turbinio della quotidianità di cui l'autore si limita a registrare le sorti, ma che poi si svelano appartenere strettamente allo stesso mondo di Carver. Ecco dunque la pesca, il bowling, i lavori porta a porta e il giardino dei vicini, fotografie nitide dell'immaginario Nord americano ma entrate ormai grazie al cinema nel nostro universo "letterario" e in grado dunque di parlare anche a noi, di parlarci e stabilire un terreno fertile comune in cui l'autore può giocare con le nostre aspettative, o con il tradimento delle stesse, con la messa in ridicolo di stereotipi o adesioni a dei modelli di comportamento. A questo proposito mi viene in mente la madre di Scotty, lo sfortunato bambino di Una cosa piccola ma buona, che reagisce così alla morte del figlio: «"No, no" disse. "Non posso lasciarlo lì da solo, no". Si sentì pronunciare queste parole e pensò quant'era ingiusto che le sole parole che le uscivano erano il tipo di parole che dicono le persone alla televisione quando sono colpite da perdite violente o improvvise». Noi abbiamo ben in mente il tipo di televisione di cui parla.
Interessante anche, a mio avviso, l'impalcatura del bellissimo Di che cosa parliamo quando parliamo d'amore, dove la determinazione della lingua, che corre veloce sui binari di dialoghi inesorabili, si svela contemporaneamente alla storia nella storia, cioè al racconto di Mel, su due vecchietti investiti da un auto e ricoverati con la massima urgenza in condizioni gravissime. Mel, questo cardiologo che si presenta inizialmente come una figura tra le più rispettabili e le cui opinioni sull'amore ruotano intorno al concetto di amore spirituale, è da Carver portato alla deriva e parallelamente alla quantità di gin che si scola insieme alla compagnia, la sua natura più intima emerge senza pietà sino allo sbotto finale: «Voglio dire, quel vecchio coglione stava morendo solo perché non riusciva a vedere quella cazzo di moglie».
I personaggi, a questo punto stanchi e ormai «tutti un po' brilli» smettono di essere personaggi per farsi ascoltare da una diversa prospettiva: «Sentivo il rumore umano che facevamo tutti, lì seduti, senza muoverci, nemmeno quando la stanza diventò tutta buia».
Non è isolato il caso in cui Carver passa la parola a qualche narratore interno alla storia: abbiamo, soltanto per citarne un altro, anche il caso di «La terza cosa che ha ammazzato mio padre» dove il narratore è il figlio di quello di cui si racconta la storia di declino e che sembra dichiarare con il passato un legame forte.
Personaggi che attraverso il raccontare accorciano le distanze con quello che è già successo, che sanno in virtù di questo che dovranno faticare e non poco per portare a compimento la propria storia. Come in Distanza: «È venuta a Milano per Natale e vuole sapere com'era la vita quando era piccola»; il padre della ragazza si rituffa nel suo matrimonio ormai dissolto, ma raccontando a sua volta una frattura che si era creata tanto tempo prima ci fa assistere, attraverso l'inevitabile carico di malinconia che la distanza porta, alla materializzazione di una doppia frattura, quella raccontata e che viene poi temporaneamente superata, e quella della contemporaneità di chi racconta che ancora deve raccogliere quello che resta della sua vita e rimettersi in viaggio.
La figlia che sorseggia Strega e ascolta attentamente è il traghetto che collega le due sponde, passato e presente, ma ancora immune (ma quel suo modo di bere ricorda così tanto il padre!) «mentre tutto il resto il freddo e dove lui sarebbe andato nel freddo restava fuori almeno per il momento».
La volontà di progressione che caratterizza molti dei personaggi carveriani, l'andare avanti nonostante tutto, ha l'effetto di proiettare sul presente un'importanza relativa, come se ogni azione compiuta non esaurisse il suo significato nella realizzazione [atto] ma trovasse un senso più definito in uno spazio temporale più ampio. Mi viene in mente Elefante, uno degli ultimi racconti del libro, in cui l'intreccio dei prestiti di denaro a parenti più o meno vicini e le lamentele a giustificazione delle richieste che seguono, se per tutta la lettura del racconto ci sembrano portare il protagonista sempre più vicino ad un crollo psicologico (e finanziario), determinano alla fine un sorprendente grido di solidarietà che ri-illumina di luce nuova i personaggi di cui ci eravamo già fatti un'idea, ed essi improvvisamente diventano gli attori, da un punto di osservazione più distanziato, di un grande balletto di vita, su cui il protagonista si lancia sfrecciando a tutta velocità «per la strada nel suo macchinone, che non aveva ancora pagato».
In altre pagine, rese famose anche dal film di Robert Altman, Short cuts (America Oggi nella versione italiana), è invece la narratrice del racconto che ci fa avvertire come questo senso di andare avanti generi nel presente dei problemi: «e se la gente intorno a te continua a chiacchierare e a comportarsi come se tu fossi la stessa persona che eri ieri, stanotte, cinque minuti fa, e invece stai veramente attraversando una crisi profonda, ti senti il cuore a pezzi» e qualche riga più avanti ammette che «Quando pensa al futuro, sorride come se sapesse un segreto» (Con tanto di quell'acqua a due passi da casa).
Carver credo arrivi fin qui, non ci svela quel segreto, né lo svela ai suoi personaggi, ma dopo che ci saremmo fatti un giro nel suo mondo credo ci fermeremo un attimo e ripenseremo a quello che è successo fino ad ora, al nostro sogno da bambini e a quanto distanti siamo da esso oppure semplicemente tireremo dritti fino alla fine.

 

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II. Bibliografia carveriana in Italia

  • Per favore, non facciamo gli eroi. Saggi, poesie, racconti, Roma, Minimum fax, 2002.

  • Il nuovo sentiero per la cascata, Roma, Minimum fax, 2001.

  • Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, Racconti, Roma, Minimum fax, 2001.

  • Se hai bisogno, chiama. Racconti inediti, Roma, Minimum fax, 2000.

  • Vuoi star zitta, per favore? Racconti, Minimum fax, 2000.

  • Voi non sapete che cos'è l'amore. Saggi, poesie, racconti, Roma, Minimum fax, 2000.

  • Da dove sto chiamando-Racconti, Roma, Minimum fax, 1999.

  • Racconti in forma di poesia, Roma, Minimum fax, 1999.

  • Carver e Tess Gallagher, Dostoevskij. Una sceneggiatura, Roma, Minimum fax, 1998.

  • Blu oltremare, Napoli, T. Pironti, 1994.

  • Cattedrale, Milano, A. Mondadori, 1996.

  • Chi ha usato questo letto, Milano, Garzanti, 1990.

 

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Giugno-dicembre 2002, n. 1-2